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Fallimento di s.p.a.: responsabilità di amministratori e sindaci

Fallimento di s.p.a.: responsabilità di amministratori e sindaci

Fallita una s.p.a., i due amministratori venivano evocati in giudizio dal curatore per rispondere di una serie di addebiti di natura gestoria e distrattiva, risalenti all’epoca della crisi aziendale e del concordato preventivo poi sfociato in fallimento. Inoltre, il curatore contestava ai sindaci la responsabilità “concorrente”, per violazione del dovere di vigilanza sull’operato degli amministratori (art. 2407 cod. civ.).

I convenuti si costituivano in giudizio per contrastare la richiesta risarcitoria.

Istruita la causa mediante testimoni, con sentenza n. 733 del 12 dicembre 2023, allegata, il Tribunale delle imprese di Trieste accoglieva solo parzialmente la domanda, con articolata motivazione.

In sintesi, quanto agli amministratori:

  • in base alla business judgement rule, andava esente da responsabilità una sola operazione – la sottoscrizione della partecipazione in una s.r.l., successivamente fallita –, essendo emersa in giudizio la previa due diligence, con analisi dei piani industriali e finanziari, nonché degli elementi patrimoniali della s.r.l.;
  • viceversa, gli altri addebiti – pagamenti preferenziali compiuti a ridosso della domanda di concordato; proposta concordataria strumentale agli interessi di soci e amministratori, e finalizzata a ritardare il fallimento – erano da ritenersi fondati. La responsabilità ricadeva su entrambi gli amministratori, in solido, in base al dovere generale di sorveglianza sugli atti gestionali (art. 2392, comma 2, cod. civ.).

Quanto invece ai sindaci:

  • anzitutto non operava la clausola compromissoria, inserita nello statuto della s.p.a., che demandava a un collegio arbitrale tutte le controversie promosse nei confronti degli organi sociali. Difatti nell’azione di responsabilità del curatore fallimentare confluisce l’azione spettante ai creditori sociali (art. 2394 cod. civ.); e questi ultimi rimangono terzi – dunque non vincolati – rispetto all’atto costitutivo e allo statuto sociale;
  • nel merito, il fallimento era tenuto a provare il nesso causale tra l’inerzia dei sindaci e il verificarsi degli specifici illeciti degli amministratori, mediante il metodo del giudizio controfattuale. Tuttavia, l’attore non aveva distinto le posizioni dei singoli sindaci rispetto agli episodi contestati, né individuato lo specifico atto che essi avrebbero dovuto porre in essere per andare esenti da responsabilità;
  • in linea di principio, i sindaci inerti possono rispondere anche rispetto a fatti diversi dagli specifici illeciti gestori, purché si tratti di macroscopici segnali di illiceità diffusa da parte degli amministratori (come nel caso di false fatturazioni o di distrazioni di materiale dal magazzino e di beni strumentali); ma non era questo il caso di specie.

Perciò il Tribunale condannava al risarcimento del danno gli amministratori, mentre assolveva i sindaci.


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