Licenziamento disciplinare di operatore sociosanitario e accusa di mobbing
Un’operatrice sociosanitaria (OSS) in servizio presso una casa di riposo veniva dapprima sospesa e poi licenziata dalla società cooperativa datrice di lavoro, per gravi infrazioni disciplinari relative al trattamento degli ospiti e ai rapporti coi colleghi.
La lavoratrice impugnava il licenziamento avanti il Tribunale di Vicenza e inoltre rivendicava il risarcimento del danno lamentando una condotta mobbizzante. La cooperativa si costituiva in giudizio per difendere il licenziamento e contestare l’accusa di mobbing.
All’esito del processo, con sentenza n. 349 resa il 04/09/2018 e qui allegata, il Giudice del lavoro dava ragione alla datrice di lavoro, confermava il licenziamento disciplinare e respingeva la richiesta di risarcimento.
In sintesi, per il Tribunale:
- Il personale sociosanitario, vista la delicatezza delle mansioni e l’inferiorità psicofisica dei soggetti assistiti, è tenuto a osservare una diligenza superiore a quella di altri lavoratori; e la negligenza non può essere attutita dal fatto che non si sia verificato in concreto alcun danno;
- L’affissione del codice disciplinare in luogo accessibile e i fatti contestati alla lavoratrice erano stati confermati dai testimoni. In particolare, l’episodio più grave (aggressione verbale a un’ospite affetta da demenza senile e alla figlia) era sufficiente – anche da solo – a integrare la giusta causa di licenziamento, poiché aveva compromesso irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro nei confronti dell’operatrice;
- Quanto alle condotte mobbizzanti, la lavoratrice non aveva fornito precise e sufficienti prove, com’era suo onere processuale. D’altra parte, l’irrogazione di sanzioni disciplinari non costituisce prova di una condotta persecutoria, essendo, al contrario, la legittima espressione del potere disciplinare del datore di lavoro.
Perciò, le domande dell’operatrice non meritavano accoglimento.
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