Risarcimento del danno da mancata dismissione di pacchetto azionario bancario
Un ente ecclesiastico riconosciuto, in qualità di socio di una banca popolare non quotata, citava avanti il Tribunale di Venezia gli amministratori e i sindaci cessati, domandando nei loro confronti – sulla base dell’art. 2395 cod. civ. – il risarcimento del danno derivato dal mancato smobilizzo (inutilmente richiesto nel luglio 2014) di una parte consistente del pacchetto azionario; con la crisi della banca, culminata nella successiva liquidazione coatta amministrativa, il valore delle azioni si era azzerato.
In sintesi, oltre a vari illeciti gestori, l’ente ecclesiastico imputava ai convenuti: di non essere stato correttamente informato della reale situazione finanziaria della banca; la mancata adozione di adeguate procedure per un’equa e cronologica evasione degli ordini di vendita delle azioni; e di essere stato abusivamente “scavalcato” da altri soci nella dismissione delle azioni.
I convenuti contestavano su ogni fronte le richieste dell’attore.
Istruita la causa tramite interrogatorio ed esibizione documentale, il Tribunale rigettava la domanda di risarcimento con l’articolata sentenza n. 576 del 30 marzo 2023, qui pubblicata.
La pronuncia offre numerose considerazioni, sia processuali che di merito. In particolare:
a) l’accusa di omessa informazione sull’andamento della banca (e dunque sul reale valore dei titoli) era infondata, in quanto del tutto generica;
b) la mancata predisposizione di adeguate procedure per l’evasione degli ordini di vendita avrebbe cagionato al socio, tutt’al più, un danno indiretto, mentre l’articolo 2395 cod. civ. accorda il risarcimento solo per il danno direttamente cagionato dagli amministratori;
c) l’accusa di anomalo “scavalcamento” nella cessione delle azioni era fondata in astratto (visto che riacquisti e rimborsi a favore di altri soci risultavano effettivamente approvati), ma non in concreto.
Difatti, all’epoca, anche alla luce delle condizioni finanziarie della banca, la cessione delle azioni non si realizzava tramite collocamento a terzi, bensì tramite riacquisto da parte dell’emittente, attraverso un apposito Fondo per l’acquisto di azioni proprie. E dunque:
- anzitutto l’attore non aveva dimostrato di aver diritto a ottenere il riacquisto e il rimborso in base alle regole e le condizioni stabilite dalla banca, così come previsto dalle apposite delibere del c.d.a.;
- in ogni caso, a partire dall’01/01/2014 tutti i riacquisti di azioni proprie dovevano essere autorizzati dell’Autorità di vigilanza (Banca d’Italia o Banca Centrale Europea, secondo i casi), così come disposto dal Regolamento Europeo n. 575/2013. Dunque, nel caso di specie, mancando la necessaria autorizzazione, l’attore non aveva alcun diritto all’esecuzione del proprio ordine di vendita del luglio 2014, poiché l’eventuale riacquisto sarebbe stato abusivo e illegittimo.
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